Quella della pena di morte è senza dubbio una delle questioni più spinose e discusse di tutti i tempi. Sin dal Settecento infatti, gli uomini hanno cominciato a porsi innumerevoli domande circa il ruolo e la finalità che la pena di morte assume all'interno della società in cui viviamo e di conseguenza si sono interrogati sull'amministrazione della giustizia e del sistema giuridico. La nascita di questa riflessione fu resa possibile grazie all'arrivo di nuovi ideali basati sulla libertà, l'uguaglianza e soprattutto sul diritto alla vita, ideali che hanno preso forma grazie alla spinta del movimento culturale illuminista. Da allora la pena di morte è divenuta oggetto di accesi dibattiti e dispute in tutto il mondo e malgrado ciò ci sono ancora oggi diversi i Paesi che la promuovono o che la mantengono in vigore, ad esempio molti stati americani come Texas, Alabama e Georgia. Ma la pena di morte è davvero efficace e può quindi considerarsi una soluzione definitiva alle atrocità commesse dagli uomini? E soprattutto, esiste veramente una soglia limite al di là della quale l'uomo può spingersi per far sì che gli venga tolto legittimamente il proprio diritto di vivere?

Sulla base di cosa degli uomini sono autorizzati a sentirsi in dovere di giudicare il valore della vita di altri individui? Il libro "Cella 2455" si occupa proprio di rispondere a queste difficili domande e rivela la strenua lotta del "genio criminale" americano Caryl Chessman per evitare di fare la stessa fine di molti criminali prima di lui, ovvero morire rinchiuso in una camera a gas facendo sì che la storia si ripetesse e continui a ripetersi. La sua è una battaglia sociale, morale e giuridica che non viene combattuta per paura della morte. Difatti, il principale obiettivo di Chessman non è mirato tanto alla sopravvivenza della sua persona quanto alla sopravvivenza e l'attuazione dei propri principi, i quali sottolineano l'infruttuosità della pena di morte che, invece di mitigare considerevolmente l'attività criminale non fa altro che rendere questo problema irrisolto. La verità è che non è stato l'atto dell'esecuzione legale in sè a disciplinare la personalità di Chessman, in realtà è stato il suo lungo ed estenuante periodo di permanenza nel braccio della morte, della durata di ben 12 anni, che ha fatto scaturire in lui qualcosa di nuovo, un'epifania, una redenzione quasi che lo ha condotto a maturare una significativa riflessione sulla società e sul concetto di giustizia, spingendolo a scrivere diversi libri, tra i quali , appunto, "Cella 2455." 

Tuttavia le idee di Caryl Chessman già esistevano nella posizione assunta dell'illuminista italiano Cesare Beccaria, figura di grande rilievo vissuta in epoca settecentesca. Il suo celebre saggio denominato "Dei delitti e delle pene" percorre un'attenta analisi delle leggi che regolavano i rapporti tra cittadini e Stato dell'epoca, e denuncia i mezzi di cui quest'ultimo si serve per decidere che cosa fare del crimine e del criminale. L'opera ha avuto un impatto rivoluzionario nell'ambito della filosofia del diritto e della filosofia politica e rimane ancora oggi una pietra miliare del pensiero dei Lumi. Per quanto riguarda la pena di morte, Beccaria afferma che non è l'intensione della pena ad avere un maggiore impatto sull'animo umano, ma l'estensione di essa, in quanto "la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte e passeggero movimento". Con questo egli vuole farci intendere che "l'animo nostro resiste più alla violenza ed agli estremi ma passeggieri dolori che al tempo ed all'incessante noia". In realtà quindi, non è l'atto di morire, in una camera a gas nel caso di Chessmann, a spaventare il detenuto e ad essere fonte di insegnamento, ma il terrore nasce dall'idea di trascorrere un'esistenza prolungata in uno stato di frustrazione perpetua e a tempo indeterminato nelle quattro mura di una cella angusta, senza un minimo di certezza circa il proprio avvenire.

Nel libro di Caryl Chessman il braccio della morte viene definito "un monumento di inutilità" e "un mattatoio sociale", in quanto confina gli uomini all’isolamento più totale, senza la minima possibilità di riscatto, e li conduce lungo la discesa di una follia latente che termina con la morte di questi ultimi. Egli inoltre ritiene di essere stato incastrato e accusato di essere il famigerato “bandito della luce rossa” e probabilmente fu davvero così, ma ovviamente non ci è dato saperlo. Eppure se fosse stato innocente ciò significa che sarebbe stato condannato perché semplicemente la sua posizione calzava a pennello alla situazione creatasi, in quanto la sua fedina penale era già macchiata di numerosi precedenti, come rapine e furti di automobili. Lo Stato aveva bisogno di una scusa per individuare un colpevole, in modo tale da rassicurare i cittadini e mettere da parte per sempre il fascicolo di un caso che in questo modo avrebbe potuto considerarsi chiuso. A proposito di questa questione, Chessman afferma che "quando viene ritenuta un'impertinenza, l'innocenza non può essere considerata un vantaggio". La colpevolezza di Chessman era in ogni caso riconducibile a molti altri crimini, motivo per cui nel pensiero di tutti, difficilmente avrebbe potuto scampare la sentenza di morte. Ciononostante, egli si ostina a lottare per difendere il proprio diritto alla vita studiando con dedizione e perseveranza, fino a trasformarsi in un uomo nuovo, maturo e consapevole, non riuscendo comunque a sfuggire a quell'amara fine nella camera a gas. L'esempio di Chessman spiega che l'esecuzione legale di un individuo invece di proteggere la società la lascia indifesa, perché se ci si illude di poter combattere il fuoco con il fuoco ci saranno e torneranno sempre nuovi criminali accecati dall'odio per la società e desiderosi di vendicarsi con la stessa violenza che essa ha esercitato su di loro, violenza che si riconduce per l'appunto alla pena di morte, in quanto "poiché l'autorità li minaccia continuamente con lo spettro del braccio, essi reagiscono con una collera malvagia, distruttrice". La pena di morte non rappresenta perciò una vittoria, bensì un fallimento della società per non essere riuscita a salvare l'individuo in questione, dal momento che invece di cercare di comprenderlo lo ha al contrario fomentato e incattivito ad un tale livello che da non lasciargli alcuna speranza. Bisogna invece agire immediatamente per eliminare il problema alla radice e tentare di comprendere le cause di tutto questo, scoprire ciò che porta un uomo ad uccidere, ciò che conduce un giovane fanciullo con gli occhi colmi di speranza e di curiosità verso il mondo, come era Caryl Whittier Chessman, a odiare tutto e tutti, a trasformarsi in un essere senza scrupoli e senza alcun riguardo per la vita e per l'esistenza altrui, così come per la propria. È indubbio che vi è qualcosa che porta gli uomini a commettere atti immorali e brutali, e questi comportamenti "sono il risultato di un complesso di circostanze che si chiama ambiente". Questo però non li rende indegni di vivere, meritano piuttosto di scontare una punizione nel tempo per indurli a razionalizzare gli atti commessi e diventare individui nuovi e rinati, proprio come successe a Chessman in quei 12 anni di reclusione nel braccio della morte. Solo così facendo possono ritenersi meritevoli di tornare nella società. È bene perciò ricordare queste parole dello stesso Chessman: "Probabilmente le mie azioni non possono essere giustificate. Probabilmente non possono essere scusate. Ma certo possono essere comprese, e da esse può derivare un vasto significato sociale".

LUCREZIA FERRARIO 4BL

Ultimo aggiornamento: Domenica 03 Aprile 2022 14:14